«Ha guarito il cuore del mondo»

Messa in suffragio di papa Francesco a La Storta
«È un dolore umano. E ci tocca tutti. Ma, c’è la certezza al tempo stesso della gioia della vita. Come credenti dobbiamo esprimere la gioia perché quest’uomo ha concluso il suo viaggio terreno proprio in questo tempo di Pasqua». Le parole del vescovo Gianrico Ruzza risuonano nella cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, piena di persone convenute il 22 aprile a pregare per papa Francesco, il giorno successivo il suffragio si è tenuto nella cattedrale di Civitavecchia. Iniziata con il Rosario, la liturgia a La Storta è continuata con la Messa concelebrata da diversi sacerdoti.

Una meditazione sgorgata dal cuore quella offerta dal pastore, grato al Signore per i quasi dodici anni di un ministero petrino vissuto «come un kerygma continuo della gioia del Signore Gesù». Per il vescovo il Giubileo della misericordia e il Giubileo della speranza sono «due architravi» che descrivono il «desiderio incontenibile di papa Francesco di avvicinare quanti più fratelli e sorelle fosse possibile, per riportarli vicini al Signore». È quanto volle esprimere con forza al quinto Convegno ecclesiale della Chiesa in Italia quando chiese «di rivivere profondamente lo spirito che aveva animato Evangelii Gaudium, la sua esortazione apostolica, che è stata il programma del suo pontificato. Dove si parla della Chiesa in uscita, della Chiesa ospedale da campo, della Chiesa che può essere anche accidentata, anche ferita. Ma, è una Chiesa vera, autentica, fatta di carne, fatta di uomini, di donne che guardano verso il Signore».

Del discorso nel duomo di Firenze il vescovo ricorda un passaggio che «ho portato nella mia vita e continuo a custodire, che è quello di far ritrovare alle persone il legame originale, riportarle a casa e far sì che tutto il popolo italiano, ovviamente il discorso si può estendere a livello planetario, senta che la Chiesa è casa per tutti», perché come disse a Lisbona nella Giornata mondiale dei giovani di Lisbona «“Todos, todos, todos”, c’è posto per tutti, Dio accoglie tutti».

Riecheggiano in questa missione le parole di Pietro negli Atti degli apostoli. Rispondendo a coloro che gli avevano chiesto cosa fare, quando aveva detto loro che Gesù è il Signore, l’apostolo dice: convertitevi, fatevi battezzare. Partendo dalla relazione personale, spiega il vescovo, «Francesco ha sempre cercato di riportare le persone a Dio, mostrando il volto di Dio, che è il volto del sorriso, che è il volto della gioia, che è il volto della misericordia». Con l’indizione di questo Anno Santo, egli ha voluto «dare speranza al mondo, nonostante la guerra mondiale a pezzi, nonostante le contraddizioni, nonostante i soprusi, nonostante le violenze, nonostante le logiche contro i migranti, contro le persone che in qualche modo ci portano delle domande che inquietano il nostro cuore di benpensanti, soprattutto per noi del mondo occidentale. Ciò malgrado c’è la speranza. E la speranza nasce dal fatto che ci si può ritrovare fratelli». Alla base di questa possibilità permane quell’amore di Dio espresso dal vangelo di Giovanni quando Maria riconosce Gesù nel momento in cui «la chiama quel Signore che tanto la ha amata e che lei tanto ama».

Nel magistero del Papa, spiega Ruzza, è costante l’invito a sentirci tutti amati, nessuno escluso, «nessuno è condannato in partenza, la condanna ce la diamo quando rifiutiamo il Signore» ed escludiamo le persone, «quando non accogliamo, quando diventiamo aspri, quando puntiamo il dito, quando giudichiamo, quando – tante volte, ce lo ha detto il Papa – spettegoliamo. Quando abbiamo un giudizio di condanna che esce dalla nostra bocca perché esce dal nostro cuore. Lì stiamo scartando Gesù». Da queste malattie spirituali «Lui ha guarito il cuore del mondo e il cuore di tanti che in questo momento umanamente lo piangono, ma devono saperlo nella gioia di Dio, nel grande sorriso di Dio, in quel Dio in cui ha sempre confidato».

E nella usa ultima Domenica di Pasqua, conclude il vescovo, il Papa «con quella voce tentennante ha benedetto ancora una volta il mondo benedicendolo con un amore immolato, con amore crocifisso, con l’amore del suo crocifisso. Con l’amore di quel Cristo che al suo fondatore Ignazio, proprio qui a La Storta, ha detto: va’ a Roma. Lui è venuto a Roma, è stato obbediente alla Chiesa, l’ha servita con amore. E oggi davvero può dire che ha terminato la corsa, ha conservato la fede e soprattutto ha custodito la nostra fede».
 
 
 
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