Ripa titolare di Cerveteri

Accolto dal vescovo Gianrico Ruzza, il segretario della Segnatura apostolica ha preso possesso nella chiesa di Santa Maria maggiore il 4 luglio

«Il titolo antico di una Chiesa vuole dire la comunione con la storia». Nel suo saluto al vescovo Andrea Ripa il vescovo Ruzza ha condensato così il senso della presa di possesso del titolo di Cerveteri fatta dal suo confratello il 7 luglio nella città etrusca.

Alla celebrazione nella chiesa di Santa Maria maggiore hanno preso parte il vescovo emerito Gino Reali assieme al vicario foraneo don Domenico Giannandrea, al parroco don Gianni Sangiorgio e ad altri sacerdoti. Tra i fedeli i membri dell’Ordine di Malta e delle confraternite del Santissimo Sacramento, della Santissima Trinità e di San Francesco.

Presente a nome di tutta la città il sindaco Elena Maria Gubetti con altri amministratori. Nel momento della sua nomina a segretario del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, lo scorso 26 gennaio, Ripa ha ricevuto il titolo della Chiesa ceretana unita a quella di Porto nell’XI secolo. Una diocesi a cui di fatto non corrisponde più un territorio, che pertanto prende il nome di sede titolare.

Le sedi titolari sono attribuite a vescovi ausiliari, vescovi al servizio della Santa Sede, come nel caso di Ripa, amministratori apostolici che governano temporaneamente una Chiesa particolare a nome della Santa Sede e i vescovi a cui non è assegnata la cura pastorale di una diocesi.

Con la volontà di legare sempre un vescovo a una diocesi la tradizione della Chiesa dà segno visibile dell’unità tra i successori degli apostoli e la loro missione all’interno del popolo di Dio. Nel caso di Cerveteri «un legame ulteriore fra Roma e una diocesi suburbicaria come la nostra», ha detto il vescovo Ruzza rivolgendo a «don Andrea» l’affetto di tutta la comunità: «Non solo ti accogliamo, ma ti sentiamo fratello in mezzo a noi». La liturgia della Parola ha offerto al vescovo di Cerveteri la possibilità di soffermarsi sulla fraternità e sulla missione a cui ogni Dio chiama ogni cristiano.

«Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» ci racconta l’evangelista Luca. «Non siamo professionisti della pastorale, degli “one man show” dell’evangelizzazione» ha osservato il presule focalizzando l’aspetto dell’“invio davanti a sé”.

Ogni servizio nella Chiesa nasce da Gesù che coinvolge i suoi discepoli nel preparare l’incontro con lui secondo «la nostra storia, le nostre capacità, la fase della vita che attraversiamo. Tutti abbiamo una vocazione alla quale corrisponde una missione che Dio ci affida nella sua Chiesa per il bene del suo popolo e per il bene del mondo».

Ma non è del cristiano camminare in solitaria. In quel “a due a due” «sta la bellezza dell’imparare a collaborare, dell’imparare ad amare il nostro prossimo inteso come persona con la quale dobbiamo lavorare assieme e c’è anche «quella punta di umiltà che non deve mai venire meno in ognuno di noi, quel non prevaricare, quel ricordarsi che si vince o si perde assieme, e soprattutto si costruisce solo insieme».

Nel brano evangelico la dimensione spaziale della missione, “in ogni città e in ogni luogo”, ci dice poi che «Non c’è nessuna situazione dove non valga la pena di annunciare il Vangelo, non c’è nessuna situazione dove non valga la pena di dare testimonianza della nostra vita cristiana». E, pur consapevoli delle miserie che ognuno porta con se, «potremmo dire che diventiamo attraenti e interessanti come cristiani nel momento in cui non facciamo cose spettacolari o organizzate, che pure è necessario, ma nel momento in cui gli altri percepiscono in noi che siamo uniti a Cristo».

Perché rispondere assieme con umiltà alla chiamata che Dio riserva ad ogni donna ed ogni uomo consiste nel testimoniare alla Chiesa e al mondo la fede in Cristo: «Di questo tesoro che speriamo di poter alimentare quotidianamente cerchiamo di essere non avari ma generosi perché, anche attraverso la nostra vita, possa giungere ad ogni uomo l’amore che Dio ha per ciascuno». Il dono della comunità diocesana al vescovo Ripa custodisce un segno dell’amore a cui lui ha fatto riferimento: un’icona che riprende l’immagine di Nostra Signora di Ceri, Madre della Misericordia.

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