Una vocazione radicale

Festa patronale della Cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maria

Una chiesa visibile dal mare e dalla campagna per essere simbolo unitario di una diocesi vasta priva di un centro storico e geografico. Nell’idea di Eugène Tisserant la Cattedrale della Storta doveva assolvere a un compito profetico, mettere assieme la bimillenaria vicenda della Chiesa di Porto-Santa Rufina, assente di una sede vescovile cittadina, un caso forse unico tra le diocesi italiane.

Una caratteristica che però ha offerto alla chiesa madre la possibilità di provarsi sull’essenza della presenza cristiana, senza poggiarsi su tradizioni e consuetudini disponibili ad altre cattedrali. La festa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, a cui è dedicata la Cattedrale, ha mostrato quanto il cammino intuito dal cardinale francese per il tempio edificato da lui più di settanta anni fa sia vivo nella comunità alla periferia di Roma. Un percorso segnato dalla «radicalità della vocazione» a cui è chiamata la parrocchia della Storta. Lo ha sottolineato il vescovo Ruzza nella Messa concelebrata il 26 giugno in Cattedrale con il parroco don Giuseppe Colaci e don José Andres Diaz Medrano.

Un incontro, un pensiero, una scelta immediata. La chiamata di Dio costella la Sacra Scrittura di decisioni prese nel coraggio e nella certezza che è la cosa giusta da fare. Nel primo libro dei Re la velocità della scena è disarmante, Elia lancia il suo mantello su Ezechiele, immerso nel lavoro dei campi. Il prescelto da Dio lascia tutto, dona i suoi buoi al popolo e segue Elia.

«Eliseo non può indugiare perché egli fa esperienza di un Dio che ci estrae dalla sofferenza della morte», un’esperienza di vocazione della quale anche noi «non solo dobbiamo essere coscienti ma anche felici». Se nel brano dell’Antico testamento all’unto del Signore viene accordato di salutare i suoi genitori, nel nuovo l’insegnamento di Gesù non prevede passi indietro: lascia che i morti seppelliscano i morti comanda a colui al quale dice «seguimi».

Al centro del brano del vangelo di Luca il presule sottolinea «la ferma decisione» di Gesù «di mettersi in cammino verso Gerusalemme». «C’è una forza che lo costringe, oltre ogni cosa, la forza dell’amore e la meta non può non esser Gerusalemme, perché è il segno della presenza di Dio». Una decisione fatta nella vera libertà «perché presa in ascolto di Dio». Nella vocazione siamo chiamati alla libertà per rimanere liberi e non essere più schiavi della carne, ce lo ha ricordato l’apostolo Paolo che scrive ai Gàlati. La condizione di chi aderisce al progetto di Dio è quella dell’amore, mediante il quale dobbiamo essere a servizio gli uni degli altri. «Ci possono essere divisioni del cuore, divisioni come quelle che la scrittura ci racconta tra samaritani e giudei. Anche in parrocchia possiamo vivere queste fratture che consistono nel non dare spazio al dono di Dio.

Invece, dobbiamo dare spazio al dialogo e alla prossimità. Il Vangelo non è mai divisivo e intollerante. È il contrario dell’intolleranza», ha rimarcato il pastore. I discepoli di Cristo sono «schiavi della giustizia, sono persone che avendo fatto la scelta radicale per Dio pensano e ragionano secondo il bene. Lasciamo che sia lo spirito ad illuminare i nostri passi sulla via della luce e della bellezza. Stendiamo la mano per la pace del mondo», ha concluso. Alla fine della celebrazione animato dal coro della Cattedrale, il parroco ha guidato l’atto di consacrazione ai cuori di Gesù e Maria, ringraziando il vescovo per la presenza nella festa della parrocchia. Una comunità unita sotto la guida del suo parroco, a cui ha espresso il suo affetto dopo la funzione festeggiandone l’anniversario di Ordinazione sacerdotale che ricorreva proprio il 26 giugno.

 

 

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