Una Chiesa accogliente e in uscita

La piattaforma online, le assemblee «Effatà», il mondo del lavoro e del sociale per un Sinodo in ascolto del mondo

L’ultimo Sinodo nella Chiesa di Porto-Santa Rufina fu nel 1957, tutto si risolse in poco tempo. Poi ci provò il vescovo Diego Bona negli anni ‘90 del secolo scorso, ma fu inviato ad altra diocesi. Questo “cammino” che ci sta introducendo più in profondo nel terzo millennio davvero ineunte, speriamo abbia esito più prassico di altre proposizioni sinodali passate.

Per la verità è iniziato quasi dubitativo come un sondaggio a risposta multipla, frutto delle valutazioni plurali emerse rispetto all’opportunità dell’evento.

E poi soprattutto ha improntato ritmi sostenibili solo se preparati, in una stagione già frenata da prassi di distanziamento che contraddicevano alla tendenza tipicamente ecclesiale del ‘convenire’. Ma è nel deserto che Israele diventa popolo, proprio ascoltando una Parola. All’inizio del percorso la questione era: chi si sarebbe mosso? Dopo un tempo prolungato che ci ha chiusi, messa in sordina la capacità di pensare.

Eppure sorprendentemente, soprattutto attraverso la scelta di gettare ponti oltre il recinto ‘ad intra’, ci è stato rivolto più di un riconoscimento per aver provato a dare la parola, ad entrare in dialogo.

Alla prima tappa di questo itinerario ora, torna l’interrogativo: in realtà, chi si è mosso? Sarà forse vero, come suggeriva un pastore, che i primi da convertire, da mettere-in-movimento, sono i ‘nostri’ e non quelli di fuori?

Comunque il nostro compito è avviare processi, più che centrare target. In questi mesi abbiamo compreso una volta di più, come animatori sinodali, che il primo servizio che potevamo offrire come collegamento pastorale di una Chiesa era proprio l’ascolto. Un pastore buono non è quello che mette in cantiere prestazioni d’opera, ma quello che è capace di essere interlocutore.

E alla fine confermiamo che se c’è un risultato che la ricerca iniziata ci restituisce, è quello di continuare ad ascoltare ancora, fare dell’ascolto il primo comandamento ecclesiale, come diceva un Altro: ‘Shemà Israel’ (Ascolta Israele). Nelle comunioni ecclesiali, occorre ritrovare il tempo per raccontarsi, non solo per fare delle cose; perché si comprende solo insieme, e sono le narrazioni di fede che convincono.

È lo Spirito il protagonista della storia, ed il discernimento condiviso ci aiuta ad ascoltare ciò che dice alle Chiese, senza pensare di essere noi salvatori con progetti che lui non ha suggerito. Attenti solo a far rientrare tutto, anche ciò che è ai margini, nella tenda del convegno, perché la Chiesa è armonia di carismi, dei quali il primo è essere parte.

Siamo partiti da due domande che il vescovo Gianrico Ruzza ha rivolto a chi voleva ascoltare: cosa ti aspetti dalla chiesa? cosa puoi offrire? La prima scelta metodologica è stata questa: poche parole, non si possono fare venti domande a chi vive l’accelerazione dei ritmi della vita.

Solo così, i nuclei tematici possono divenire profetici, ossia far intuire vita nuova, se si fa sintesi sull’essenziale, senza moltiplicazione di pareri. Poi abbiamo fatto alcune scelte metodologiche, incarnazioni di come siamo noi come Chiesa e territorio portuense. La piattaforma digitale anzitutto, in una distribuzione policentrica come la nostra: vera agorà, terra franca di una piazza virtuale dove in realtà si sono incontrati sacro e profano.

Le assemblee “effatà”, luoghi di confronto nei diversi comuni e municipalità, che hanno visto ritrovarsi soprattutto i “quadri” di un laicato operoso: ministri liturgici, catechisti, animatori Caritas e della pastorale. Abbiamo aperto un “osservatorio” sociale attraverso l’iniziativa di una scuola di cittadinanza responsabile, per fare una lectio storica degli eventi che segnano il nostro tempo, e riprendere contatto con un mondo come la politica che pure fortemente è interpellato a trovare una strada verso il futuro, soprattutto in una stagione come questa che si apre a diversi cambi elettorali ed economici.

E provando ad attraversare il fiume verso l’altra riva di un mondo che sempre meno viene alla Chiesa e sempre più vive dall’altra parte senza “eu-anghellion” (“buona notizia”), abbiamo aperto connessioni con operatori di recupero delle dipendenze, con associazioni attente alla condizione femminile e con operatori del mondo del lavoro e del sociale.

Cosa emerge? La domanda è quella di una Chiesa capace di formazione, che sappia saziare la fame di spiritualità dell’uomo alla ricerca di senso. Una Chiesa che chiama alla cor-responsabilità, capace di riconoscere e coinvolgere le tante risorse che rimangono in attesa. È richiesta una Chiesa a doppia trazione: da un lato capace di accogliere, di non far sentire esclusi; dall’altra capace di essere in uscita, di abitare l’altra riva dove vive la gente, senza pensare che tutto si risolva ad intra quando si fa catechesi o si celebrano riti.

Le grandi questioni restano sempre le stesse: come si fa comunione oggi, come si possono vivere i ministeri quale servizio e non per il potere, come vivere le relazioni soprattutto quelle affettive, come parlare la lingua dell’uomo, in particolare quella dei giovani. In poche parole-chiave, come dice il vescovo: gioia, formazione, ascolto, vicinanza, discernimento.


Giovanni Righetti, coordinatore cammino sinodale

 

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