Sant'Ippolito, memoria che unisce

Fiumicino ha reso omaggio al patrono: primo vescovo di Porto e martire

«L’identità della nostra città coincide con sant’Ippolito. La diffusione della sua storia, soprattutto nelle scuole, è importante per noi. Forse sentiamo ancora poco questa figura ma dobbiamo crescere nel suo ricordo per dare unità a tutti i nostri territori, dalla campagna alla città al mare. E così riappropriarci della nostra storia». Non è un sacerdote a pronunciare queste parole, ma il vice sindaco di Fiumicino, Ezio Di Genesio Pagliuca. Colpiscono le sue parole in cui la tradizione religiosa e quella civile trovano una sintesi esemplare. Le pronuncia nella chiesa di Santa Maria Porto della Salute alla fine della Messa in memoria di Sant’Ippolito, primo vescovo di Porto e martire nel terzo secolo. Il maltempo di venerdì scorso ha impedito la suggestiva celebrazione nella sua antica basilica, dove ogni anno si raduna la diocesi per fare memoria del protettore di Fiumicino e patrono principale di Porto-Santa Rufina. La storia di Sant’Ippolito fa andare indietro alle origini del cristianesimo, come racconta la passione riportata dai Bollandisti.

Forse nativo della Persia, arriva a Roma, come un qualsiasi pellegrino, per venerare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Resta qui per qualche tempo e s’impegna nella vita liturgica e caritativa della comunità cristiana. Quando si pone il problema di inviare un vescovo nella città di Portus, dove fioriva il porto imperiale di Traiano, viene scelto proprio lui. Siamo a metà del terzo secolo, in piena epoca di persecuzioni contro i cristiani.

Giunto a Portus, Ippolito, insegna la fede in Gesù, celebra i misteri, consacra sacerdoti e si prende cura delle persone bisognose della comunità. Una comunità particolare quella sulla foce del Tevere, più di ogni altra chiamata ad accogliere i pellegrini cristiani in visita alle tombe degli apostoli.

Ma, il fervore nato attorno a Ippolito non rimane nascosto. Il vescovo viene preso, condotto in carcere, e, dopo un processo sommario con l’invito ad abbandonare la fede cristiana, condannato a morte. Viene gettato, dice la passio, in una profonda cisterna piena d’acqua, e subito trascinato a fondo dai pesi legati alle mani e ai piedi. Cosa trasmette la storia del primo di pastore di Porto alla nuova Porto, cioè Fiumicino? «La via verso il regno di Dio, che è già qui tra noi» dice nell’omelia monsignor Alberto Mazzola. Il vicario generale della diocesi, è stato incaricato dal vescovo Reali di sostituirlo nella celebrazione perché in convalescenza. Attraverso il suo vicario il vescovo rivolge l’affetto a Fiumicino, assicurando la preghiera per la protezione della città. Assieme a don Mazzola, nella chiesa progettata da Valadier, il vicario foraneo padre Giuseppe Tristaino e tanti altri sacerdoti con fedeli giunti da tutta la città.

Ippolito, spiega Mazzola, è maestro e testimone. Maestro di fede in un tempo in cui questa esperienza è spesso problematica, inchiodata a una ragione illuministica. Invece il vescovo di Porto offre un’altra ragione, quella che accetta la croce di Gesù. «La croce è follia e scandalo ancora oggi, ma essa non parla di odio, parla di amore, del più grande amore». Alla scuola di Ippolito possiamo imparare come vivere «le nostre croci non come maledizioni, ma come percorsi di grazia». La sua adesione totale al Vangelo ne fa allora un testimone autentico del messaggio di Gesù.

Dall’insegnamento del martire, dice infine Mazzola, comprendiamo la vita come dono: vita per gli altri e con gli altri per creare una comunità di fratelli che si vogliono bene.

Simone Ciampanella

foto Filippo Lentini

(08/10/2018)

 

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