«Dopo di noi chi ci sarà accanto per dirle quanto è stata preziosa e unica la sua vita?»

Vivere in famiglia la sindrome di Down

«Arrivò la diagnosi: trisomia 21 libera. Fu per me una “liberazione” dopo quei 15 giorni fatti di silenzi, di aspettative, di momenti di sconforto, di preghiere, di certezza della sindrome e momenti in cui negavo a me stessa l’eventualità, cercando nei suoi movimenti, nei suoi occhi segni di “normalità”». Sono gli occhi di Lulù quelli attraverso cui Maria Teresa Coppola cercava di scongiurare le sue paure: la sindrome di Down. Per Maria Rosa e suo marito, come per molti altri genitori, l’inizio della primavera significa speranza: il 21 marzo è ricorsa, infatti, la giornata mondiale per promuovere i diritti delle persone Down. La causa della sindrome fu identificata in una anomalia nel numero dei cromosomi dal medico e genetista francese Jérôme Lejeune nel 1959. Membro della pontificia accademia delle scienze dal 1974, nel 1997 Jérôme fu nominato da Giovanni Paolo II primo presidente della pontificia accademia per la vita: ora è in corso il suo processo di beatificazione, concluso nella fase diocesana.

Lejenne ha dedicato la sua esistenza a difendere la vita e le persone Down, in particolare quando le sue scoperte diventavano ragioni per gli abortisti. «Non può essere negato che il prezzo delle malattie genetiche sia alto – spiegava il medico francese –, in termini di sofferenza per l’individuo e di oneri per la società. Senza menzionare quel che sopportano i genitori. Se questi individui potessero essere eliminati precocemente, il risparmio sarebbe enorme! Ma noi possiamo assegnare un valore a quel prezzo: è esattamente quello che una società deve pagare per rimanere pienamente umana». L’eredità di Jérôme è in mano a madri e padri, e a studiosi, come Pierluigi Strippoli, promotori della sacralità della vita, di ogni vita, consapevoli di custodire “il” dono con la loro testi-monianza. Quello che hanno fatto i genitori di Lulù.

«Adesso la strada era definita», continua a raccontare Maria Rosa. Con il marito prendono contatti con l’Aipd (Associazione italiana persone Down), leggono, si informano. Pensano al futuro della figlia, ma «bastava prenderla in braccio e tutte le nostre ansie, preoccupazioni, paure si dissolvevano». Lulù insegna ai suoi la semplicità, l’autenticità e anche la diversità. «A volte mi perdo nei suoi ragionamenti che ai più potrebbero sembrare strani» eppure la «sua non convenzionalità mi permette di fare riflessioni profonde, di vedere e leggere fatti o persone in modo del tutto diverso». Ma tra gioie e soddisfazioni, rimane una forte preoccupazione: «Un giorno io e mio marito non saremmo più in grado di aiutarla e sostenerla. Allora penso a lei in questa società dove il diverso, il “non produttivo” è considerato scarto, a lei quando le luci si spegneranno per sempre, chi ci sarà accanto per dirle quanto è stata preziosa e unica la sua vita?». Questo pensiero fisso attanaglia migliaia di famiglie. La società e chi ha maggiori responsabilità in essa devono rispondere a questa ansia per preservare l’umanità di cui parlava il servo di Dio Jérôme.

Michele Sardella

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