Il Card. Tisserant, grande servitore della Chiesa universale ed esemplare Vescovo di Porto - Santa Rufina

Conferenza tenuta dal p. Bernard Ardura, Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, a La Storta, per il 40° anniversario della morte del Card. Tisserant

di p. Bernard Ardura

 

 

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 Il Cardinale Eugenio Tisserant
grande servitore della Chiesa universale
ed esemplare Vescovo di Porto - Santa Rufina,
nel quarantesimo anniversario della scomparsa

Cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maria
La Storta, 25 febbraio 2012

 

Bernard Ardura
Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche

 

La chiamata dell’Oriente

Nessuno poteva immaginare, il 25 agosto 1884, che il maschietto nato a Nancy in Lorena, nella famiglia del veterinario Ippolito Tisserant sarebbe stato chiamato a un destino straordinario, vissuto quasi interamente fuori dei confini della madre patria.
Il giovane Eugenio percepisce assai presto la chiamata al sacerdozio ed entra nel Seminario Maggiore di Nancy, il 1° ottobre 1900, dopo aver conseguito all’età di 16 anni le due maturità francesi in lettere-filosofia e in lettere-matematica.
Con un eccellente livello di conoscenza del latino e del greco, il futuro responsabile della Congregazione per la Chiesa Orientale si dice convinto di dover “arrivare a leggere la Bibbia nei testi originali” [J. BRIEND, « Eugène Tisserant, l’orientaliste », in Le Cardinal Eugène Tisserant (1884-1972). Une grande figure de l’Église. Une grande figure française, Toulouse, 2003, p. 15.].

Così inizia ad imparare da solo la lingua ebraica, poi si dedica allo studio del siriaco e così nasce la sua vocazione orientalista: “Mi venne l’idea che avrei potuto dedicare una parte del mio tempo al progresso delle scienze sacre” [Ibid., p. 16.]. Aveva allora in mente le numerose opere scritte nelle antiche lingue orientali e ancora inedite. Sotto l’influsso di un nuovo professore del seminario, il Prof. Clamer, che conosceva bene anche la lingua caldea, il giovane Tisserant inizia lo studio di questo idioma nel 1904. Ben notato dal Prof. Charles Ruch, futuro vescovo di Strasburgo, Eugenio Tisserant,troppo giovane per essere ordinato sacerdote, trascorre l’anno 1904-1905 presso l’École biblique di Gerusalemme,fondata nel 1890 dal domenicano Padre Lagrange.
Dopo il servizio di leva a Toul, nel 1905-1906, lo studente frequenta per due anni l’Istituto Cattolico di Parigi, e più precisamente la Sezione Lingue semitiche, dove studia ebraico, siriaco, caldeo, etiopico e arabo, conseguendo il Diploma in lingue orientali. Eccolo chiamato a Roma per insegnare il caldeo presso il Pontificio Ateneo dell’Apollinare che riunisce le facoltà del Seminario romano, ma, prima, Eugenio Tisserant si prepara all’ordinazione sacerdotale, che gli viene conferita il 4 agosto 1907. Uno dei suoi professori gli consiglia, prima di lasciare Parigi, di completare il suo lavoro sull’Ascensione d’Isaia nella sua versione etiopica, la cui edizione critica doveva manifestare il valore scientifico dell’autore. Per questo motivo, Eugenio Tisserant arriva a Roma solo nel 1908, e inizia una brevissima carriera nell’insegnamento delle antiche lingue orientali.

Brevissima carriera, conclusasi nel 1912, perché fin dal 1909, Pio X aveva creato il Pontificio Istituto Biblico, affidato ai Gesuiti, con il monopolio della preparazione dei futuri professori di Sacra Scrittura, in piena reazione antimodernista e sotto la vigilanza della Commissione biblica. Ma il giovane sacerdote non è senza lavoro; è incaricato di catalogare quasi trecento manoscritti arabi; occasionalmente tiene delle lezioni di ebraico o di caldeo, prepara la revisione di tutta la sezione orientale della Tipografia vaticana, dopo aver ricuperato i caratteri tipografici provenienti dalla Propaganda. Al di là di queste attività tecniche, Eugenio Tisserant entra nel ristretto circolo di quelli che a Roma si interessano dell’Oriente cristiano e del lavoro sui manoscritti originari di questa regione. Lo studio occupa un posto sempre crescente nella sua vita, a tal punto che dedica una parte delle sue vacanze a visite nelle più prestigiose biblioteche d’Europa. Il 5 settembre 1911, il giovane studioso vede realizzarsi un sogno: riceve la possibilità di fare un viaggio nel Vicino e Medio Oriente. In seguito, visita l’Egitto e giunge a Gerusalemme, poi Antiochia, Aleppo, Cesarea, Haifa, Urfa in Turchia, Mossoul nel nord dell’Iraq, tornando a Gerusalemme via Damasco. Questo viaggio è essenziale nella vita di Eugenio Tisserant. La sua straordinaria conoscenza del Vicino e Medio Oriente, egli la deve ugualmente a questo viaggio e alle sue erudite ricerche sul cristianesimo antico. Durante queste settimane, egli tocca con mano la diversità e complessità religiosa, culturale, sociale e politica delle regioni che attraversa. Senza ignorare le loro debolezze, Eugenio Tisserant s’innamora delle minoranze cristiane circondate dalla massa musulmana. Dappertutto, costata la speranza nutrita da questi cristiani nel potenziamento del ruolo protettorato francese a beneficio dell’Oriente cristiano, nei confronti di un Islam conquistatore. In seguito a questo viaggio, Eugenio Tisserant riceve numerosi dignitari ecclesiastici orientali e inizia a tessere una rete di contatti che gli saranno molto utili quando sarà a capo della Congregazione per la Chiesa orientale. Nel 1913, il rettore dell’Istituto cattolico di Parigi invita Eugenio Tisserant a tornare in Francia per dedicarsi all’insegnamento. Ma questi preferisce rimanere a Roma, benché lo stipendio sia inferiore.

Questa scelta sarà decisiva per il suo futuro. Infatti, Monsignor Achille Ratti, prefetto dell’Ambrosiana dal 1907, è stato nominato viceprefetto della Biblioteca Vaticana, con diritto di successione al prefetto, Padre Erhle, che ufficialmente rassegna le dimissioni per motivi di salute nel 1913. Con Monsignor Mercati, Eugenio Tisserant e Achille Ratti diventeranno un affiatato trio di amici. Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra mondiale, Eugenio Tisserant viene arruolato come riservista, ma non sopporta l’idea di rimanere inattivo; preferisce raggiungere le unità combattenti. Scrive ai suoi genitori, il 24 agosto 1914: “Lascio il deposito, per raggiungere le unità che combattono. Ho spiegato al capitano che ero sacerdote e avevo meglio da fare che rimanere al deposito, e vado via” [É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant 1884-1972. Une biographie, Paris, 2011, p. 108.]. Ferito accidentalmente da un suo commilitone, e ricoverato nell’ospedale di Nancy, in seguito è inviato a Parigi e assegnato alla Sezione Africa dello Stato maggiore.La sua conoscenza del Vicino Oriente si rivela molto preziosa, in particolare nel correggere importanti errori in un progetto di operazione militare in Libano. Ogni giorno, prepara una relazione per il ministro sulle operazioni dell’esercito russo in territorio turco e sui preparativi militari dei Turchi in vista di un attacco al Canale di Suez.  Tuttavia, Eugenio Tisserant non rimane a lungo nella capitale francese. Su sua richiesta, viene nominato, nel febbraio 1915, interprete presso il corpo di spedizione francese d’Oriente. Così egli assiste alla disfatta navale che non riesce a forzare lo stretto dei Dardanelli in direzione di Istanbul. Scrive: “Passo una notevole parte del mio tempo ad occuparmi dell’alimentazione degli ufficiali, il che non è estremamente intelligente, ma abbastanza facile a causa della nullità dei cuochi” [Ibid., p. 111.]. Il 15 aprile 1915, Eugenio Tisserant è richiamato a Parigi, dove continua il suo lavoro di interprete. Scrive che non spera di diventare “generale interprete, neppure interprete generale, malgrado la molteplicità delle lingue di cui mi chiedono talvolta di usare, perché ho appena tradotto delle liste di prigionieri francesi in Turchia e delle lettere di prigionieri turchi in Francia, benché la mia scienza del turco sia fresca fresca e ben poco sviluppata ancora” [Ibid., p. 118.]. Infatti, si lamenta dell’esistenza più monotona che si possa vivere, mentre gli altri soldati combattono. Prova una grande solitudine, lontano dall’ambiente clericale, in questo mondo militare, e si avvicina alla famiglia spirituale di San Francesco di Sales. Non cessa di pensare all’Oriente, alla Palestina dove è inviato il 27 marzo 1917. Segue con passione l’offensiva che distrugge il fronte turco-tedesco del Levante  nel 1918, in veste di capo del Primo Bureau presso lo Stato Maggiore delle Truppe francesi del Levante.

 

 

Il Prefetto della Biblioteca Vaticana

Tornato a Roma, il 1° maggio 1919, Eugenio Tisserant si impegna definitivamente, l’8 giugno, nella Società dei preti di San Francesco di Sales. Allora, Monsignor Ratti è già stato inviato in Polonia e la prefettura della Biblioteca vaticana è stata affidata a Monsignor Giovanni Mercati il quale è riuscito ad ottenere che Eugenio Tisserant fosse praticamente il suo coadiutore con diritto di successione; combinazione alla quale Monsignor Ratti non era certamente estraneo. Dieci anni più tardi, Eugenio Tisserant è ormai diventato una personalità influente della comunità francese di Roma, ma si lamenta e attraversa un nuovo periodo di depressione, perché si rende conto che il lavoro amministrativo proprio del prefetto della Biblioteca gli impedisce di dedicarsi alla sua produzione intellettuale. D’altra parte, la collaborazione con Monsignor Mercati non era facile, perché, scrive Eugenio Tisserant: “Nel personale di servizio, gli officiali sapevano lavorare insieme, mentre Mons. Mercati lo ignorava. Era ed è tuttora incapace di capire cosa è una vera cooperazione, benché da solo sia incapace di dirigere la Biblioteca” [Ibid., p. 138.].
Tuttavia, continua la sua attività intellettuale e la lista delle sue pubblicazioni attesta il suo impegno nella ricerca in particolare sui manoscritti arabi e armeni, etiopici e copti. La sua riconosciuta competenza gli vale la possibilità di fare tre viaggi in Oriente: una missione per comprare dei libri per la biblioteca del nuovo Pontificio Istituto di Studi Orientali; poi una missione in Grecia dove la Congregazione di Propaganda Fide ha chiesto le dimissioni dell’arcivescovo latino di Atene, fervente partigiano della latinizzazione degli Orientali e quindi in rottura con la strategia unionista di Benedetto XV e Pio XI. Il prefetto, Cardinale Van Rossum, vieta all’arcivescovo di Atene di disperdere la sua biblioteca prima di tornare a Roma; Mons. Tisserant è incaricato di comprarla per conto della Santa Sede. Approfittando dell’occasione, visita gran parte del Vicino Oriente, dal Cairo ai Balcani. La terza missione ha per scopo di intensificare i legami fra la Santa Sede e l’Impero etiopico. Rispondendo ad un invito ad inviare un responsabile della Biblioteca vaticana negli Stati Uniti per studiare il funzionamento delle biblioteche americane, Pio XI affida questa missione ad Eugenio Tisserant, che apprezza molto la modernità americana, il suo senso del progresso e una libertà pubblica che lo sorprendono. Al suo rientro a Roma, Mons. Tisserant convince facilmente Pio XI dell’utilità di accettare le proposte di una fondazione americana, la Dotation Carnegie, di sovvenzionare generosamente la creazione di un indice generale dei manoscritti conservati nella Biblioteca vaticana.
Da dieci anni, Mons. Tisserant lamenta di essere soffocato dall’inerzia del Prefetto Mons. Mercati, che gode la stima di Pio XI. Finalmente, nel 1930, il Cardinale Pacelli informa Mons. Tisserant delle decisioni del papa: Mons. Mercati conserverà titolo, stipendio e altre prerogative del prefetto, ma tutto il governo della Biblioteca sarà affidato a Mons. Tisserant che diventa pro-prefetto. Sfortunatamente, nel dicembre 1931, un tragico incidente – il crollo di una sala della Biblioteca – compromette, all’istante, l’avvenire di Mons. Tisserant, ma fra il 1927 e il 1936, questi riesce a fare della Biblioteca vaticana una delle più moderne biblioteche d’Europa. Alla morte del Cardinale Ehrle, Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa, nel 1934, Pio XI non gli ha dato alcun successore, ritenendo che le biblioteche della Chiesa romana non avessero bisogno di un altro protettore che egli stesso.

 

 

Un giovane cardinale francese, incaricato delle Chiese Orientali

Malgrado il suo parlare forte, specialmente contro l’italianizzazione delle pontificie opere missionarie in atto nell' ultima parte del pontificato di Pio XI, Mons. Tisserant è diventato uno degli uomini del pontefice. La sua ozione al cardinalato nel giugno 1936, quando ha soltanto cinquantadue anni, di cui ventitré trascorsi al servizio della Santa Sede, fa entrare Mons. Tisserant nella Curia romana di cui finora non faceva parte. La scelta di Pio XI fa di Mons. Tisserant il più giovane membro del collegio cardinalizio e l’unico cardinale francese di Curia. L’ambasciatore francese François Charles-Roux esprime a Pio XI la soddisfazione delle autorità francesi per questa scelta di Mons. Tisserant, ma il governo fascista italiano considera “sgradevole” la nomina alla Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale del prelato francese, noto per la sua determinata opposizione al fascismo. Pio XI è stato chiaro: ha scelto Tisserant per la sua competenza, scrive l’Ambasciatore Charles-Roux, “è il migliore orientalista che ho a disposizione. Conosce le lingue orientali, conosce l’Oriente e gli orientali. Con lui l’Orientale avrà un capo capace di farle rendere i migliori servizi; e questo è importante nell’ora attuale e lo sarà nei tempi venturi” [Ibid., p. 195.]. Fin dalla sua nomina a segretario dell’Orientale, il neo cardinale Tisserant non manca di esprimere alcune sue riserve a Pio XI e di proporre delle riforme assai profonde di questa realtà curiale. Il titolo della Congregazione sottolinea la divisione fra Oriente e Occidente in seno alla Chiesa; questo medesimo titolo, al singolare, prende in conto una Chiesa orientale mentre, seguendo l’identificazione storica ad una nazione, c’è una molteplicità di Chiese orientali cattoliche – armeni, copti, maroniti, ecc. –; ma il nuovo titolare della Congregazione deve accettare la Congregazione tale e quale, senza ottenere la minima soddisfazione. Questa giovane Congregazione, creata nel 1917, non gode, allora, di una grande autorevolezza in Curia, e non è molto apprezzata dalle comunità cattoliche sotto la sua giurisdizione. Ci sono molte lamentele sulle carenze del personale, poco preparato, fra il quale c’è soltanto un Orientale, greco, Isaia Papadopoulos, ed è altrettanto deludente il modesto sviluppo delle Chiese cattoliche di rito orientale.

Durante il suo lungo mandato a capo della Congregazione per la Chiesa Orientale, il cardinale Tisserant prese molte misure per offrir favorevoli condizioni di vita e di sviluppo alle comunità cattoliche orientali, ampliando i servizi all’interno del Dicastero e organizzando una efficiente amministrazione del patrimonio della Congregazione per poter provvedere alle spese per i seminari, collegi e varie opere facenti capo al Dicastero. Fin dal 1937, il giovane cardinale inizia un ricchissimo periodo della sua vita, segnato da innumerevoli contatti con l’Oriente cristiano e dall’incontro con persone che lasciano la loro impronta nell’intelligenza e nel cuore di Eugenio Tisserant. Il suo primo viaggio si svolge, su invito dei vescovi cattolici, in Romania, dal 7 al 29 settembre 1937, appena due anni prima dello scoppio della Seconda Guerra mondiale. Questa visita è, in quale modo, esemplare: il Cardinale scopre, in un paese a maggioranza ortodossa, una Chiesa cattolica molto vivace, che gode di numerosi vantaggi, ma che ha gran bisogno di sviluppare la preparazione dei suoi sacerdoti. Appena tornato a Roma, dopo un’udienza di 35 minuti con Pio XI, il Cardinale ottiene non il permeso ma l’ordine di creare dei seminari minori in Romania, per iniziare subito un grande programma di formazione sacerdotale. Il cardinale Tisserant incontra il re Carol, molto favorevole all’opera svolta dalla Chiesa cattolica, e si rende conto che in uno Stato a maggioranza ortodossa, il governo stipendia i sacerdoti cattolici e paga loro una pensione, stipendia i professori dei seminari e versa ogni mese una somma per i seminaristi cattolici, stipendia gli insegnanti delle scuole cattoliche riconosciute dallo Stato, sovvenziona per di più la costruzione di nuove chiese… Con saggezza, il cardinale Tisserant aiuta l’episcopato romeno a diventare consapevole della situazione privilegiata della Chiesa cattolica in Romania ed invita i vescovi cattolici ad abbandonare ogni velleità di querelare la Chiesa ortodossa, quando, per esempio, crea una nuova diocesi nel proprio paese, dove è stramaggioritaria. 

Sotto il pontificato di Pio XII, il cardinale Tisserant moltiplica le visite alle “sue” Chiese orientali: nel 1951 in Egitto; nel 1953 visita i Malabaresi nel sud dell’India; nel 1959, visita il Sudan, l’Eritrea e l’Etiopia. Poi, verso la fine del suo mandato presso la Congregazione per la Chiesa Orientale, il Cardinale milita fortemente in favore della creazione di diocesi per i cattolici orientali della Diaspora, soprattutto per i Maroniti e i Melchiti in America, considerando che queste comunità non potranno sopravvivere senza un’organizzazione propria e stabile, cioè senza diocesi. Le difficoltà e le obiezioni, certo, non mancano da parte dei Latini. Il cardinale Tisserant le riassume in poche parole: “Questi argomenti si possono riassumere in un solo punto ed eccolo: i vescovi latini vogliono il potere assoluto nelle loro diocesi e tutto ciò che non fa capo alla loro giurisdizione, da loro fastidio” [Cf. A. SILVESTRINI, « Eugène Tisserant et la Congrégation pour l’Église Orientale », in Le Cardinal Eugène Tisserant…, op. cit., p. 112.].  Nondimeno, Pio XII promuoverà una energica riforma, senza temere le obiezioni e le proteste dei vescovi, sacerdoti e laici Latini che, nei nuovi territori sotto la giurisdizione della Congregazione per la Chiesa Orientale, si troveranno, de facto, sotto la giurisdizione del cardinale Tisserant, in particolare nel Vicino e Medio Oriente. Papa Giovanni XXIII, dopo le dimissioni del cardinale Tisserant dall’incarico di Segretario della Congregazione per la Chiesa Orientale, riconosceva il valore dell’azione del Cardinale, quando gli scriveva: “Rinnovando i sensi della mia piena fiducia e del mio grande affetto, desidero, in fine, ringraziarLa per tutto quanto Ella ha fatto durante questi ventitrè anni da Segretario della Congregazione Orientale, in favore dei pastori e dei fedeli appartenenti agli antichi e venerabili riti orientali” [Ibid., pp. 114-115.].

 

 

Il cardinale Tisserant, buon pastore e padre della diocesi di Porto - Santa Rufina

Creato cardinale nell’ordine dei diaconi, il 15 giugno 1936, eletto arcivescovo titolare di Iconium, il 25 giugno 1937, il cardinale Tisserant ricevette l’ordinazione episcopale, il 25 luglio seguente, dalle mani del cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato di Pio XI.  Essendo passato nell’ordine dei cardinali preti il 25 giugno 1937, il cardinale Tisserant racconta le circostanze della sua promozione a vescovo suburbicario di Porto e Santa Rufina, il 18 febbraio 1946. Ascoltiamolo: “Ho dovuto prendere, in questi giorni, delle gravi decisioni: la sede suburbicaria di Porto e Santa Rufina è vacante fin dal 1942, con la morte del cardinale Boggiani. La sede deve essere provveduta, secondo antichissime usanze, per opzione dei cardinali dell’ordine dei preti che si trovavano a Roma nel giorno in cui è morto il precedente titolare. Ce n’erano cinque prima di me, ma nessuno ha voluto optare, chi, perché troppo occupato, chi per motivi di salute. Così l’opzione è arrivata fino a me. Come applicare in questo caso il principio salesiano: niente chiedere, niente rifiutare? Mi sono consultato con il mio confessore, Mons. Jullien, e varie persone a me vicine, il cardinale Rossi, il mio assessore, ecc. Anzitutto, avevo chiesto al Sommo Pontefice se Sua Santità desiderasse che io non optassi a motivo della mia nazionalità. La conclusione di tutto l’insieme della mia inchiesta è stata favorevole alla mia accettazione.” [É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant…, op. cit., p. 475.]. 

Questa scelta del cardinale Tisserant non è certamente dettata da un desiderio di arricchirsi. La diocesi di Porto e Santa Rufina ha, allora, un modesto reddito di 25 000 lire annue, compresa la congrua versata dal governo italiano, e questa somma va normalmente al vescovo ausiliare preposto ad affiancare il vescovo suburbicario. Lo stesso cardinale Tisserant spiega in una lettera del 13 febbraio 1946 il motivo profondo della sua scelta: “Spero che la vera intenzione, quella che voglio avere, è di mettermi a disposizione della Chiesa in tutto quello che mi chiede, e anche di servire direttamente le anime, occasione data, come il regolamento della Società dei preti di San Francesco di Sales ce l’ispira.” [Ibid., p. 477.] Il Cardinale precisa ancora che ha voluto questa diocesi, “per beneficiare della grazia di stato che è legata alla responsabilità pastorale e trarne vantaggio nell’esercizio stesso delle mansioni di Segretario della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale” [A. ALFONSI, « Eugène Tisserant et son diocèse au fil des jours », in Le Cardinal Eugène Tisserant…, op. cit., p. 202.].
Se, di solito, i vescovi suburbicari non si occupavano molto da vicino della loro diocesi, il cardinale Tisserant accetta questa responsabilità pastorale come una sfida, lui che finora non ha mai ricevuto una simile missione, e con l’intenzione di ridare vita a questa diocesi che, nel 1946, conta all’incirca 42 000 anime. Per questo, il nuovo vescovo può contare sull’ausiliare, Mons. Luigi Martinelli, vicario generale, ausiliare del cardinale Tommaso Pio Boggiani, poi amministratore apostolico della diocesi, dal 1937 al 1946. La diocesi è carente di tutto ciò che normalmente fa una diocesi: non c’è una città episcopale; assente la cattedrale fin dal secolo XI; nessuna curia episcopale, la diocesi è gestita dagli uffici romani concessi dalla Dataria; poche chiese e cappelle e in condizioni disastrose. Il Cardinale scrive ad un amico: “Avrei bisogno di costruire delle cappelle e pure delle chiese, perché le cappelle rurali che sono sedici, officiate ogni domenica, sono o delle semplici baracche, o delle cappelle molto troppo piccole, potendo accogliere non più di un quinto o di un quarto di ciò che bisognerebbe.” [É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant…, op. cit., pp. 478-479.].

E il clero? – “Ho alcuni buoni sacerdoti, una buona dozzina, penso, su venticinque che fanno parte del clero diocesano. Avrei bisogno di quattro o cinque sacerdoti in più, per farne dei viceparroci là dove la popolazione è troppo considerevole per un uomo solo.” [Ibid., p. 479].  D’altra parte la dislocazione delle parrocchie non facilita l’amministrazione della diocesi. Così, il 28 aprile 1946, il Cardinale amministra la cresima ai bambini “nella straordinaria parrocchia di Tragliata, località che ha quasi trentacinque chilometri di lunghezza e neppure una agglomerazione che abbia più di quindici famiglie” [Ibid.]. Fin dal giorno della sua intronizzazione, il 25 marzo 1946, il Cardinale si mette al lavoro e sceglie due collaboratori che conosce da molto tempo: il Comboniano Pietro Villa che consacra ausiliare, e Tito Mancini che conosce tramite la Società dei preti di San Francesco di Sales, che sarà cancelliere della curia diocesano. È inutile precisare che l’impegno e la presenza di un cardinale vescovo suburbicario nella propria diocesi era cosa assolutamente insolita in questo tempo; infatti questi delegavano praticamente tutta l’amministrazione diocesana ai loro ausiliari. Mons. Alfonsi scriveva nel 2002: “Al momento di affidargli la diocesi, il Santo Padre Pio XII gli aveva raccomandato di «voler essere un buon padre per i suoi diocesani».” [A. ALFONSI, « Eugène Tisserant et son diocèse au fil des jours », in Le Cardinal Eugène Tisserant…, op. cit., p. 202.] 

Il Cardinale inizia l’attuazione del suo programma, essendo vescovo a tempo pieno, con una presenza assidua, ogni lunedì, mercoledì e venerdì, dalle nove a mezzogiorno. Dedica le domeniche e le feste alla visita delle sue venti parrocchie, distanti e poco accessibili.
Quindi, il Cardinale si dedica generosamente alla diocesi, ma la prossimità con la Curia romana gli procura talvolta qualche fastidio. Il 4 maggio 1946, gli viene chiesto di celebrare il matrimonio di Francesco Ruspoli, principe di Cerveteri, con una ragazza che non apparteneva ad una famiglia principesca, e contro il parere del padre. Il Cardinale scrive: “Ho sostenuto che ero pastore, e che nella mia diocesi non dovevo aver alcuna difficoltà nel benedire il matrimonio di chiunque fosse in regola con la Chiesa. Le due sezioni della Segreteria di Stato si erano mobilitate: una gridava allo scandalo, e l’altra mi faceva consigliare una malattia diplomatica. Ma ho resistito: ho ottenuto la benedizione del Santo Padre, e quando l’ho ringraziato, sabato, ho visto che era soddisfatto del mio modo di agire”. [É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant…, op. cit., pp. 481-482]. 

In pochi mesi, il Cardinale ha identificato le urgenze pastorali. Deve riavvicinare il prete, la chiesa e la scuola ad una popolazione disseminata sul territorio e in netto aumento. Così, il 22 aprile 1946, pone la prima pietra, nell’Isola Sacra, di una nuova chiesa.  Anche se le grandi famiglie sono generose, le risorse locali sono insufficienti per costruire una buona rete di luoghi di culto, poiché una chiesa anche modesta viene a costare da quaranta a cinquanta milioni di lire nel 1952. Siccome il Cardinale non è ricco, guarda agli Stati Uniti, dove il delegato apostolico, Monsignor Amleto Cicognani, gli riserva quattromila intenzioni di Sante Messe all’anno. Il viaggio del cardinale Tisserant negli Stati Uniti, nel 1947, gli offre l’occasione di tenere una conferenza all’Università di Princeton, di visitare i cattolici orientali, che costituiscono altrettante opportunità di parlare della povertà e delle urgenti necessità della sua diocesi. Non dimentichiamo che uno dei suoi sacerdoti riceve trecento lire al mese, ossia un mezzo dollaro [Ibid., p. 483, n. 28.]. Tornando dall’America con quarantacinquemila dollari, il cardinale Tisserant è pronto ad avviare il cantiere a lui molto caro: donare alla diocesi una chiesa cattedrale che sia il punto di riferimento del clero e dei fedeli. Grazie a un dono pontificio di settecentomila lire, il Cardinale è in condizione di disporre del terreno necessario. I sette milioni di lire necessari al compimento dell’opera fondamentale saranno da lui reperiti qua e là, senza chiedere nulla alla Santa Sede e senza indebitare la diocesi. Per i suoi cantieri, il Cardinale fa appello ai suoi amici e alle proprie relazioni, alle congregazioni di cui è protettore, e anche ai suoi fedeli, cominciando dai latifondisti, affinché costruiscano o ingrandiscano i luoghi di culto siti nelle loro proprietà.

Poi, il Cardinale è convinto dell’importanza della scuola e dell’educazione della gioventù. Nel 1951, inizia la costruzione di un centro diocesano, apre già nel 1950 una scuola media, una scuola materna e delle opere giovanili affidate a delle religiose. Non avendo i fondi per la creazione di un seminario minore, egli aggiunge un pre-seminario alle tre classi di una scuola media, con la speranza di preparare una buona elite utile alla Chiesa e alla società. Cinque anni dopo il suo insediamento, il Cardinale raccoglie i primi frutti del suo impegno pastorale: due chiese, quattro cappelle, quattro canoniche, tre scuole materne e una sala parrocchiale.

Buon pastore di una diocesi in piena rinascita, il cardinale Tisserant celebra spesso nella cattedrale e nelle parrocchie, fa la visita generale della diocesi almeno tre volte, riceve tre giorni a settimana preti e fedeli che si presentano nei suoi uffici della Dataria.
Se la diocesi è povera in mezzi, è anche povera in personale. Da molto tempo, l’attività pastorale dipende da sacerdoti venuti da altre regioni d’Italia e da aiuti puntuali da parte di sacerdoti residenti in Roma, e disponibili a venir celebrare la domenica. Quindi, il Cardinale è molto attento al reclutamento e alla preparazione del clero diocesano, certo che l’avvenire della Chiesa dipende in gran parte dai suoi sacerdoti, dal loro valore intellettuale e morale.

Siccome la diocesi non può avere neppure il proprio seminario maggiore, i pochi seminaristi di Porto e Santa Rufina frequentano il seminario di Anagni, fino a quando il cardinale Tisserant si rende conto di quanto segue: “Nel sabato dei Quattro Tempi, ero presso il seminario interdiocesano d’Anagni, dove i seminaristi di Porto, sei in questo momento, ricevono la loro formazione filosofica e teologica. Ora, ho avuto il dispiacere di dover costatare che il loro professore di Sacra Scrittura ha appena ricevuto la formazione generale della Gregoriana: nessuno studio speciale in Sacra Scrittura!” [Ibid., p. 487]. La decisione è presa: il Cardinale ritira i suoi seminaristi da Agnani e li affida al seminario d’Imola, il cui livello gli sembra superiore.

Ma non basta offrire una buona formazione iniziale, bisogna anche alimentare la vita spirituale e intellettuale dei sacerdoti, dopo il seminario. Così, il cardinale Tisserant organizza una specie di accademia pastorale: giornate mensili di preghiera e di studio per vicariato, adunanze generali del clero due volte l’anno, all’autunno per iniziare l’anno scolastico e a primavera per farne il bilancio. Discepolo di San Francesco di Sales, il Cardinale richiama i suoi sacerdoti alla santità. Radicati in Cristo, devono attingere al Buon Pastore, modello di tutti i sacerdoti, e devono vivere il sacerdozio di Cristo, Sacerdote, Padre, Maestro, Dottore e Medico delle anime. Nella circolare diocesana del 2 dicembre 1960, il Cardinale scrive: “Il laicismo, quale negazione del soprannaturale, non sarà vinto che da una tale vita sacerdotale che del soprannaturale sia testimonianza concreta […] Sacerdoti, testimoni viventi della realtà soprannaturale, amministratori instancabili della grazia, anime indissolubilmente radicate nella preghiera e nel sacrificio, potranno indicare ed aprire a questo mondo malato di oggi la strada del Regno di Dio” [L. DUBOSC, « Eugène Tisserant et ses prêtres », in Le Cardinal Eugène Tisserant…, op. cit., pp. 177-178.]. Per il Cardinale, il sacerdote è un apostolo di Cristo e un uomo dalla vita coerente, testimone dell’opera di Cristo in lui. Come Cristo, il prete deve donare se stesso per le sue pecorelle. Il Cardinale scrive: “È una dolorosa realtà che la gente, oggi, non ha del prete tutta la stima che dovrebbe avere. Se si eccettuano pochi fedeli che si tengono a noi vicini, molti del popolo ci guardano male, o ci considerano fannulloni e sfruttatori” [Ibid., p. 178.]. Apostolo santo per il popolo al quale è inviato, ecco l’ideale sacerdotale del cardinale Tisserant. È necessario che la vita del sacerdote sia unificata in Cristo e da Cristo per la missione, perché il sacerdote deve essere apostolo del suo tempo: “Non siate imprudenti, nell’adagiarvi nella mediocrità, nel consentire a debolezze, nel patteggiare con le imperfezioni, ma siate intelligenti […] e con l’esercizio delle virtù sacerdotali, con le opere dello zelo, con il quotidiano impegno di ricopiare Cristo in voi, mostrate che conoscete bene, nel tempo che attraversiamo, ciò che è buono e gradevole e perfetto davanti a Dio, ossia ciò che veramente vi conduce a salute e giova alle anime affidatevi” [Ibid., pp. 180-181]. Il vescovo si preoccupa anche del benessere materiale dei suoi sacerdoti e fa costruire delle canoniche decenti. La cronaca del suo episcopato è ricca di fioretti che illustrano la sua prossimità e generosità nei confronti del suo clero. All’indomani delle dimissioni, uno dei suoi sacerdoti, Don Gustavo Cece gli scrive: “Tuttavia, Vostra Eminenza resta per me il mio Padre” [É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant…, op. cit., p. 488.]. Ed egli stesso dice che ha sempre voluto essere come il viceparroco dei suoi sacerdoti, come colui che si tiene accanto a loro per risolvere le loro difficoltà spirituali e materiali. In controparte, il cardinale Tisserant esige una dedizione senza limiti e uno scrupoloso rispetto della linea da lui definita. Ogni negligenza è occasione di rimproveri sempre diretti, spesso forti e talvolta bruschi. Accanto agli incontri personali e alle riunioni sacerdotali, il vescovo invia regolarmente delle lettere circolari al clero, con una media di una lettera ogni due mesi. Non soltanto vi espone i grandi orientamenti pastorali, ma anche il dettaglio della loro attuazione.

In una diocesi dove non mancano i segni di un calo della pratica religiosa degli uomini, il cardinale Tisserant, così come Mons. Martinelli prima di lui, ripone molta speranza sui bambini ai quali conviene offrire una buona formazione cristiana, che permetta loro di resistere agli attacchi del materialismo e dell’ateismo. Convinto dell’importanza di questa formazione, il Cardinale decide di visitare personalmente all’incirca un quinto delle classi della diocesi ogni anno, e così visitarle tutte in cinque anni. La “visita d’onore” si svolge alla fine dell’anno scolastico e diventa una festa non soltanto per i giovani e gli insegnati, ma per l’intera popolazione del paese visitato. Così, il vescovo allaccia dei rapporti familiari con i più giovani dei suoi diocesani, anche prima della cresima. E, nel 1962, il Cardinale può scrivere: “Posso dire che la mia ispezione ha fatto molto per rialzare il livello dell’insegnamento stesso” [Ibid. p. 490]. Anzi, la sua visita  ha suscitato una vera emulazione e, una volta, il Cardinale fu accolto non soltanto dal preside della scuola ma dal ministro della Pubblica Istruzione. Il cardinale Tisserant rivolge agli adulti i suoi insegnamenti con le sue lettere pastorali, una ogni anno, lettere nella linea di un San Carlo Borromeo o di un San Francesco di Sales. Per offrire a questi adulti buone condizioni di formazione cristiana, sono create varie Pie Unioni per gli agricoltori, i pescatori, e l’Azione Cattolica è promossa, specialmente quella dei lavoratori.
 Ad eccezione delle elezioni legislative del 1948 e delle amministrative del 1956, il Cardinale non interviene direttamente nella sfera politica, ma tiene alto il suo programma: “Ricercare il miglioramento sociale per il mezzo della riforma e del progresso individuale” [Ibid., p. 496.]. Il Cardinale non è favorevole a tutti i costi alla Democrazia cristiana, di cui lamenta le divisioni e i compromessi. A Fanfani, nuovo segretario politico del partito, che gli chiede consiglio, il cardinale Tisserant risponde, insistendo su “l’urgente necessità di restituire ai cittadini fiducia nell’amministrazione dello Stato e nella correttezza degli uomini politici” [Ibid., p. 498.].

Il vescovo di Porto e Santa Rufina assiste, nei venti anni del suo episcopato, ad una profonda trasformazione della società, in particolare in seguito alla legge del 21 ottobre 1950 che impone una riforma agraria limitata a certe zone particolarmente ingrate, come la Maremma, paludosa e malsana. L’Ente per la riforma fondiaria della Maremma toglie le terre incolte ai grandi proprietari, le bonifica e vi stabilisce delle famiglie di contadini senza terra provenienti da tutta l’Italia. D’altra parte l’estensione edilizia della città di Roma verso ovest e sud trasforma lentamente le antiche e povere borgate della diocesi. Infine, il turismo balneare a Fiumicino, Fregene, Ladispoli e Santa Marinella contribuisce ad un aumento considerevole della popolazione diocesana che raddoppia durante l’episcopato del Cardinale: da 40 000 abitanti nel 1946 a 80 000 nel 1965. Fra le manifestazioni più significative dell’episcopato del cardinale Tisserant, si deve segnalare il sinodo diocesano, celebrato dal 6 all’8 agosto 1957, in occasione del giubileo sacerdotale del Cardinale, nella cattedrale da lui voluta e costruita. Questo sinodo diocesano segna un momento di particolare rilevanza, in quanto raccoglie i primi frutti del primo decennio del suo episcopato e prepara la diocesi di Porto e Santa Rufina a cogliere le nuove sfide di una società in piena e profonda trasformazione. Chi legge attentamente le lettere pastorali del Cardinale, specialmente quelle del 25 luglio 1963 e del 25 marzo 1966, scopre tutta l’attenzione del pastore per i rapporti fra la Chiesa e la società contemporanea, così come la sua attenta analisi del presente per delineare una prospettiva del futuro. Si preoccupa non solo dei rapporti della Chiesa con la società civile, ma dei problemi sociali che non mancano nella sua diocesi.

Nella sua missione pastorale, il Cardinale appare preoccupato di offrire ai fedeli delle riflessioni sui valori cristiani e sui loro doveri di credenti. Maurilio Guasco scrive in proposito: “La sola vera preoccupazione di carattere politico che manifesta costantemente è quella dell’avanzata e dei pericoli del comunismo e del marxismo, contro i quali non cessa di mettere in guardia, dedicandovi numerose pagine.” [M. GUASCO, « Ecclésiologie et rapports entre l’Église et le monde dans les Lettres pastorales d’Eugène Tisserant », in Le Cardinal Eugène Tisserant…, op. cit., p. 170.].
Il cardinale Tisserant è perfettamente consapevole dei mutamenti in atto nella sua diocesi così come in tutta l’Italia fra 1950 e la conclusione del concilio: un affievolimento del senso religioso, un allontanamento di parecchi fedeli dagli atti cultuali, un abbassamento del numero dei preti e il loro invecchiamento. Durante tutto il suo episcopato, il Cardinale ha moltiplicato le iniziative e gli sforzi per rispondere a questa situazione. Non dimentichiamo che ha raddoppiato il numero delle parrocchie e dei luoghi di culto presenti sul territorio diocesano per rispondere al forte incremento della popolazione. Ha dato un nuovo impulso all’apostolato dei laici e non ha mai cessato di chiedere al clero di rispondere alle nuove esigenze della popolazione.

Eugenio Tisserant fu un vescovo dal discernimento lungimirante. Nella sua diciannovesima Lettera pastorale, in occasione della Conclusione del Concilio Vaticano II, scrive: “Aumentato lo scambio delle idee, moltissimi nostri contemporanei non riescono ad identificare i valori perenni del pensiero religioso e si smarriscono nel conflitto delle ideologie […]. La stessa vita religiosa può soffrire dei mutamenti troppo rapidi, tanto negli individui, quanto nei vari gruppi sociali; e mentre alcuni, propensi ad una adesione più personale ed attiva alla fede, giungono ad un senso più acuto di Dio, altri, invece, si staccano dalla religione, convinti che il loro ateismo sia richiesto dal progresso scientifico.” [Citato in I. MACONI, « Église et société: la “sécularisation” dans le diocèse de Porto e Santa Rufina dans les années 1950 », in Le Cardinal Eugène Tisserant…, op. cit., p. 158.].

 

 

Una feconda eredità per la nuova evangelizzazione

Diventato decano del sacro Collegio nel 1951, il cardinale Tisserant divenne anche vescovo della diocesi suburbicaria di Ostia, ridotta praticamente ad una sola parrocchia. Malgrado questa promozione, Eugenio Tisserant non fa parte dei cardinali influenti sul governo della Chiesa e in particolare su Pio XII; rimane a distanza da Montini e Tardini e conta alcuni avversari determinati in seno al famoso Pentagono: i cardinali Canali, Micara, Ottaviani, Piazza e Pizzardo. Tuttavia, Pio XII lo stima e gli affida alcuni incarichi di fiducia in vari casi particolarmente delicati. Decano del Sacro Collegio, prefetto della Congregazione cerimoniale, segretario della Congregazione orientale e presidente della Commissione biblica, il Cardinale riceve, nel 1957, il titolo di Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, senza parlare della sua partecipazione ai lavori di varie congregazioni della Curia romana, come la Concistoriale e Propaganda fide. Tuttavia, l’autentico Eugenio Tisserant non si confonde con questi incarichi ed onori prestigiosi. Il vero Tisserant è essenzialmente sacerdote di Cristo e discepolo spirituale di San Francesco di Sales. Seguendo i suoi maestri, eredi della Scuola francese di spiritualità, Eugenio Tisserant fa sua la devozione fondamentale della Chiesa: amore verso Dio Trinità, amore verso il prossimo, devozione verso Maria Santissima e i Santi.

Sacerdote e vescovo nato nell’ultima parte dell’800, il cardinale Tisserant è tuttavia ancora per noi, uomini e donne del XXI° secolo tanto attuale. Ascoltiamolo lamentarsi, nel 1957, della propria mediocrità; la vita spirituale dell’allora seconda personalità della Chiesa non è un lungo fiume tranquillo: “Come mi sembra di appartenere sempre alla categoria dei “senza amore”, con l’aridità delle mie preghiere e delle mie prediche. […] Penso che Dio saprà, vedendo i miei sforzi, se l’amo sufficientemente. Ma quante difficoltà per progredire! Quante difficoltà soprattutto per sbarazzarmi dagli innumerevoli difetti che si manifestano di continuo, di orgoglio e di vana gloria, di severità nei miei giudizi su altrui, di durezza forse verso coloro che dovrebbero ispirarmi la misericordia! Quanto ho bisogno che si preghi per me!” [Citato in É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant…, op. cit., p. 546].

L’eredità salesiana ricevuta dai suoi maestri ha consentito al cardinale Tisserant di far sì che il suo servizio al papa e alla Santa Sede – ivi comprese tante missioni abbastanza lontane dallo spirituale – divenisse fonte della sua santificazione. San Francesco di Sales ha insegnato che ognuno deve santificarsi nell’adempimento del suo dovere di stato, a condizione di rispettare il principio che divenne la regola di vita del Cardinale: niente chiedere, niente rifiutare. Eugenio Tisserant si rivela, nella corrispondenza con il suo direttore spirituale, come un sacerdote molto dedito al servizio di Dio e della Chiesa, ma anche molto consapevole delle sue imperfezioni e dei suoi limiti, nonché delle difficoltà per progredire sulla via della santità. Umile, si raccomanda alle preghiere dei suoi numerosi corrispondenti, e forse questo aspetto della sua complessa personalità aiuta a capire la bella figura paterna che egli ha lasciato nella memoria della diocesi di Porto e Santa Rufina. Percorrendo la lunga e ricca vita del cardinale Tisserant, mi sono convinto che proprio in questa Chiesa diocesana egli abbia vissuto al massimo la sua paternità sacerdotale ed episcopale; a questa Chiesa ha dato la parte migliore della sua personalità e della sua attività. Porto e Santa Rufina è stata la sua famiglia.

Questo lungo e fortissimo legame con la sua diocesi aiuta a capire quanto fu duro per il Cardinale presentare le sue dimissioni da questo incarico. Nell’agosto 1966, Paolo VI aveva invitato i vescovi a dimettersi al raggiungimento del settantacinquesimo anno di età; il cardinale Tisserant, che aveva già superato gli ottanta anni, ubbidì, volendo essere il primo a dare l’esempio. Nell’ottobre, presentò le dimissioni al pontefice, che furono accettate il 17 novembre 1966. Al momento della morte, avvenuta il 21 febbraio 1972, riprese la strada di Porto e Santa Rufina per essere sepolto nella cattedrale che aveva fatto costruire.

Qui, Eugenio Tisserant fu pastore e padre, servitore di Cristo e del suo Vangelo. Certo, è famoso per la sua scienza e i suoi prestigiosi incarichi, ma è veramente qui, che ha dato la piena misura del suo sacerdozio e del suo amore per la Chiesa, della sua predilezione per i giovani e la loro formazione, per i suoi sacerdoti e le loro condizioni spirituali e materiali di vita, per i laici e la loro preparazione in vista della loro missione nella vita della società. Questa è la sua eredità, il tesoro che ha lasciato alla sua amata Chiesa, tesoro di fede in Dio e di zelo apostolico, di generosità missionaria e di carità pastorale, tutti elementi fondamentali per la nuova evangelizzazione alla quale ci invita il Santo Padre per l’Anno della Fede, “affinché il mondo creda!”.

 

Roma - La Storta, 25 febbraio 2012

 

(28/02/2012)

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