Tessitori di comunità

«Resistenze e difficoltà della cultura odierna all’annuncio della Risurrezione», è questo il tema affrontato all’incontro del clero di martedì scorso nella parrocchia della Santissima Trinità a Cerveteri. Il vescovo Ruzza ha introdotto questa seconda tappa del cammino comune di formazione dei sacerdoti di Porto-Santa Rufina e di Civitavecchia-Tarquinia, ringraziando Vincenzo Rosito, docente alla Pontificia università gregoriana, invitato ad approfondire i numeri dal 50 al 75 dell’esortazione apostolica Evengelii Gaudium. Il relatore ha diretto il suo intervento ponendo l’accento sull’altro suggerimento allegato al tema affidato: l’indicazione data da papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze del 2015: «Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli».

Nel corso della sua relazione lo studioso ha proposto ai sacerdoti una chiave di lettura per interpretare la fatica pastorale del tempo presente e trasformarla in possibilità creativa per un annuncio incarnato. Partendo dal racconto di un pellegrino cinese in cammino verso Roma, riferito da Ivan Illich, in cui il viandante riceve un’accoglienza sempre più distante dall’impegno personale, Rosito ha mostrato la tendenza moderna ad astrarre l’esperienza umana dalla vita delle persone. Il gesto diretto della cura verso la persona incontrata si trasforma in uno indiretto, istituzionalizzato, delegato ad enti, siano questi pubblici o privati: «Non vediamo più l’uomo come sofferente, ma la sofferenza in termini astratti, come problema sociale, senza passare dall’uomo».

Quando ogni ambito della vita diventa problema, la soluzione assume la forma della pianificazione, dell’organizzazione, dell’iper-specializzazione. Una Chiesa inserita in questo processo, ha ricordato il relatore citando ancora a Firenze, rischia il pelagianesimo e lo gnosticismo. Invece, «La dottrina cristiana non è un sistema chiuso, ma è viva, sa inquietare, ha un volto non rigido. Ha carne tenera. La dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo. La carne tenera della Chiesa è fatta di attività non di problemi».

La società dei servizi che si sviluppa nel leggere problemi ovunque determina peraltro la riduzione dell’umanità a suoi soli bisogni, con la conseguente spinta dei mercati a crearne di nuovi. Sono soprattutto i poveri a patire la comprensione dell’esperienza umana come problematica. In Fratelli tutti il Papa insiste su una politica che non sia verso i poveri, ma con i poveri o dei poveri, da lui intesi come “poeti sociali”, capaci, come accade per la scrittura poetica nel mettere assieme parole inusuali nel loro accostamento, di prendere gli scarti della società e trasformarli in qualcosa di nuovo. Liberarsi dal “problema del problema” favorisce uno sguardo rinnovato del cristiano che abita la città.

La città non è solo un cumulo di problemi. Una pastorale aperta alla ricomprensione di ciò che chiamiamo problematico riconoscendo in esso l’attività umana, ha spiegato Rosito, «non fabbrica la presenza di Dio, ma la svela nella vita delle donne e degli uomini». E ciò è possibile maturando l’atteggiamento della contemplazione della realtà: «Il contemplativo è uno che ha occhi maturi, sagaci, potremmo dire mistici: è uno che sa riconoscere». Il suo contrario è il funzionario (civile, sociale, ecclesiale) che esaurisce il suo compito nell’eseguire procedure. Nella vita sacramentale il rischio del funzionariato può ridurre la portata compensativa del sacramento, insistendo troppo sui percorsi di preparazione, che dovrebbero invece solo esserne preparazione al ricevimento.

Nella strutturazione della formazione del clero, gli incontri comuni preparano l’argomento alle successive riunioni nelle vicarie. Come suggerimento a questi momenti locali di formazione il relatore ha proposto tre verbi intesi come piste di approfondimento: convocare, mappare e coltivare. Nel “convocare” Rosito indica la natura assembleare della comunità cristiana: «La sapienza evangelica non va solo insegnata ma va condivisa con tutti» attraverso dei gesti di convocazione dove la Parola di Dio sia messa in comune.

Per cogliere la particolarità di questo radunarsi, il relatore ha introdotto il concetto di “assemblaggio” proposto da Latour, secondo il quale nell’assemblea non ci si riunisce perché si è d’accordo, ci si incontra invece per le questioni che dividono. Concetto che fa da paio a questo è quello di “ding” (cosa), attraverso cui il filosofo francese raccoglie insieme i convocati in assemblea e le ragioni per le quali questi s’incontrano. Dunque, ci si incontra con le proprie differenze su una questione (cosa) che richiede una nuova configurazione dei rapporti e delle azioni.

Passando al secondo dei verbi proposti, Rosito ha affermato che «Oggi per una realtà ecclesiale mappare il territorio significa immaginare relazioni che non vediamo ancora» quindi non si tratta di redigere un elenco ma di fare un «esercizio di immaginazione ecclesiale» per riconoscere la possibilità di relazioni innovative.

L’ultima pista indicata, quella del coltivare, dice l’azione a cui è chiamata la Chiesa nel comporre la frammentazione e la segmentazione sociale e culturale cresciute negli ambienti e nella città. Compito possibile attraverso la pratica della «tessitura ecclesiale» condotta da tessitori che sappiano attraversare i “bordi”, uscendo e rientrando dai margini sociali e culturali.

«Guardiamo le persone e non i problemi» ha sintetizzato in conclusione il vescovo che ha riconosciuto la complessità delle sfide a cui la Chiesa deve rispondere. Ma, deve impegnarsi, pena il fatto di risultare omissiva rispetto alla sua missione. In particolare, dopo una pandemia, ancora in corso, responsabile di aver acuito una crisi già in atto. Lo dimostra il fatto, ha annotato il pastore, che coloro che si immaginava tornassero dopo il periodo più rigido del lockdown non lo hanno fatto. In questo clima di incertezza, ha concluso, il cammino sinodale rappresenta una grande occasione per ricomporre lo scollamento della pastorale dalla vita delle persone, con ben chiare le parole di Gesù del Vangelo di Giovanni nel quale Cristo dice di non aver perduto nessuno di coloro affidatigli da Dio.

Simone Ciampanella