All’alba del cammino

«All’alba di un nuovo cammino. Le idee, le speranze, le passioni e le scelte dell’Ac di Porto-Santa Rufina per il triennio che verrà». È il titolo che ha legato parole e spirito dell’assemblea diocesana dell’Azione cattolica di Porto-Santa Rufina, svoltasi il 15 febbraio. Il cammino di un’associazione ecclesiale di laici che nel territorio diocesano ha una storia lunga e appassionante, come ha ricordato Elisabetta Marini dell’équipe diocesana, e che grazie alle ricerche fatte negli archivi della diocesi ha potuto raccontare quanto siano stati importanti, negli anni post-bellici, le fatiche di donne e uomini che hanno comunque costruito il tessuto vivo di una Chiesa coraggiosa. Per questo si può parlare di “alba”, perché segue una notte di crisi e di difficoltà, (gli anni di fine millennio), e di lento ma tenace rilancio di questi primi anni del secolo XXI.

Lo hanno testimoniato le parole, sia quelle di don Giovanni Soccorsi, assistente unitario, sia quelle di Lucio Turra, amministratore nazionale dell’Ac, venuto a portare il saluto della presidenza nazionale e a complimentarsi con «la fiducia che la comunità che sta riprendendo a camminare infonde», quando spesso purtroppo, si constatano segnali di difficoltà. Questo di oggi, invece, è un segno di speranza, ha affermato Turra, che fa bene a chi ci crede e s’impegna.

E ugualmente risuonano significative le parole dell’incaricato diocesano Stefano Pedone per la ricostruzione dell’Ac: «Oggi è il giorno del ricongiungimento di due storie in cui noi (l’équipe provvisoria ndr) siamo stati solo la cerniera, i sarti che hanno rammendato una unica tela». Non si riparte, quindi, ma piuttosto si continua. La fine di un incarico (forse), «ma non dell’impegno di chi ha collaborato e pregato in questi anni per questa meta».

Ecco, allora, che eleggere il nuovo Consiglio diocesano (Anna Rita Grossi, Alessandra Gumiero, Paola Rausa e Katia Danese, per l’Acr; Cristina Carlucci, Chiara Bertuolo, Roberto Farina e Francesco Angelo Pellegrina per il Settore Giovani; Corrado Taggiasco, Elisabetta Marini, Stefano Pedone e Nicola Iacovella, per gli adulti), non è stato una formalità. La democrazia, in Ac, non è un dettaglio, un optional. È un metodo che si fa sostanza di una scelta, perché attribuisce responsabilità e intreccia rapporti fiduciari che vanno oltre il voto. Hanno l’orizzonte lungo della continuità.

Perché il viaggio sarà impegnativo, sulla scia delle parole dell’amato presidente dell’Ac e vicepresidente del Csm, ucciso dalle Br il 12 febbraio di 40 anni fa: «Portare la nostra Azione cattolica in alto, al largo, in mare aperto. Mi pare un’indicazione che ci serve molto bene oggi, quando ci si chiede di ridare un senso, di ridare una speranza alla nostra azione», scriveva Vittorio Bachelet, nella lettera ai presidenti diocesani nel giugno del ‘64. E, poi, ci si chiede «di liberarla dalle limitazioni che qualche volta dall’esterno e qualche volta dall’interno la mortificano, per riscoprire, l’altezza e la profondità della nostra missione di membra vive, responsabili della Chiesa di Dio, intimamente legati alla roccia di Pietro e all’autorità dei vescovi, e insieme immersi nella realtà di questo mondo non per esserne dominati ma per santificarla e salvarla. Solo così radicati in profondità, solo così spinti al largo dove le coste si vedono con ampia visione di insieme, noi potremmo orientare meglio noi stessi e servire anche ad altri come punto di orientamento e di incontro».

Vittorio Sammarco

(24/02/2020)