Memorie vive di fede

L’identità si costruisce attorno a dei simboli, la cui persistenza nella storia e l’affetto riservato loro dalle persone indica il valore della prima. Nomi di luoghi, manufatti, tradizioni conservano il desiderio dell’uomo di lasciare traccia del senso di appartenenza per offrirlo a chi verrà dopo. Nella storia della zona di Boccea la memoria di una famiglia di martiri ha trasmesso questo senso di appartenenza nei secoli: un dono per chi oggi abita l’estrema periferia nord di Roma. Come ogni 19 gennaio, data della loro festa, domenica scorsa i fedeli della diocesi hanno ricordato Mario, Marta, Audìface e Àbaco, uccisi nel IV secolo in questa terra della Campagna romana, che ne conserva il ricordo grazie alla chiesa di San Mario del 1789, e a delle catacombe. «Siamo davvero felici di aprire questo luogo così importante per la comunità della zona, una comunità così ricca e piacevole.

Come ripete spesso mio padre (Ferdinando ndr) questa chiesa è un po’ di tutti quanti, noi ne siamo i custodi», ha raccontato a Lazio Sette Massimiliano Carabba, la cui famiglia conserva la chiesa di San Mario dal 1873. Da questo edificio è partita la processione diretta alle catacombe poco distanti, nella proprietà della famiglia Vismara. Tra gli spazi testimoni di una fede antica il racconto della passione dei patroni ha evocato quel passato con una vividezza suggestiva.

Venivano dalla Persia per venerare le reliquie dei martiri. A Roma aiutarono il prete Giovanni a seppellire 260 martiri sulla via Salaria, che giacevano decapitati in aperta campagna. L’opera di carità irritò il potere imperiale e furono arrestati. Davanti al tribunale rifiutarono il sacrificio agli dèi e confermarono con forza la loro appartenenza a Cristo. Condannati alla pena capitale furono portati qui: Mario e i due figli decapitati, Marta affogata in uno stagno.

«Dovremmo tutti conoscere la storia della nostra Chiesa senza darla per scontata, come spesso avviene. È la storia di una comunità, la storia di un popolo che Dio si è scelto, la storia di fratelli e sorelle che hanno dato e danno la loro testimonianza nelle situazioni più varie, nei tempi più diversi e nei luoghi anch’essi mutevoli». Sono le parole del vescovo Gino Reali durante la Messa seguita al rientro della processione in chiesa.

Assieme al presule hanno celebrato padre Lorenzo Gallizioli, il parroco di Santa Maria di Loreto, don Cristoforo Dudala, vicario foraneo di Selva Candida, e altri sacerdoti della zona. Guardando alla famiglia persiana i genitori di oggi possono scoprire un percorso possibile verso la libertà vera. «Al ricordo dei martiri delle origini, Mario, Marta, Audiface ed Abaco, e i patroni della diocesi Ippolito, Rufina e Seconda – ha concluso il vescovo –, aggiungiamo quello dei santi di tutti i tempi, anche se di molti non conosciamo il nome, e a tutti chiediamo di aiutarci a maturare la santità che è il frutto della semina del Vangelo, di ogni stagione».

Presto il seme della memoria di questi progenitori nella fede germoglierà di nuovo su questa terra. Quanto la tradizione della Chiesa ha preservato lungo i secoli sarà visibile come simbolo per le donne e gli uomini di oggi nella nuova chiesa in costruzione, che sarà dedicata ai quattro martiri. La prima pietra, posta a suo fondamento in primavera, custodisce dei mattoncini con scritti i nomi di persone e storie, su cui edificare l’identità di fede, di fraternità e di carità: «una chiesa fatta di pietre vive», disse in quell’occasione padre Lorenzo.

Simone Ciampanella

foto Lentini