Essere missionari è dono d'amore

«Voi, che chiedete di partire per la missione, volete testimoniare a tutti la fraternità, il dono d’amore e la gioia del Vangelo di Cristo Gesù?». È la domanda che il vescovo Reali pone ai volontari dell’Ufficio missionario di Porto–Santa Rufina, riuniti lunedì scorso per la festa delle patrone diocesane, le Sante Rufina e Seconda. Nella parrocchia loro dedicata a Casalotti, periferia nord di Roma, risuona il loro convinto «Sì, lo vogliamo». Una sicurezza non ostentata, ma pronunciata con la consapevolezza di chi si è preparato e ha meditato a lungo per dirla. «Nei mesi scorsi hanno risposto all’invito della nostra Chiesa, si sono ben preparati ed ora sono pronti a partire in nome di tutti noi», assicura don Federico Tartaglia, direttore dell’Ufficio missionario diocesano, quando rivolge al vescovo la richiesta dei volontari di essere volto e mani della diocesi nelle varie destinazioni.

La partecipazione alle proposte estive comincia infatti durante l’inverno e poi in primavera, quando si accetta di partecipare al VolEst (volest.wordpress.com), il corso di formazione al volontariato dell’ufficio. Nelle prossime settimane, saranno in Romania, nell’orfanotrofio di Bacau, in Malawi (www.ilnostromalawi.net), nella parrocchia di Koche dove operano le fidei donum Alessia D’Ippolito ed Emanuela Pizzi, al Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Castelnuovo di Porto. Assieme anche i ragazzi di Venite e vedrete (www.veniteevedreteonlus.it), che faranno un percorso formativo in Tanzania.

Il 10 luglio, come ormai da anni, si rinnova la promessa di questi giovani davanti alle loro coetanee, madri della Chiesa portuense, perché la loro vita è l’esempio all’origine di ogni testimonianza cristiana. «La via per la santità è proprio come la scala sognata da Giacobbe», dice il vescovo durante l’omelia, «che ci mostra come sia possibile l’unione tra il Cielo e la Terra». L’immagine dell’Antico testamento ci fa vedere che la presenza di Dio si può realizzare in ogni luogo e occasione, come si rende conto il figlio di Isacco: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». La vicenda di Rufina e Seconda, tradite dai loro fidanzati perché fedeli a Gesù, «è una visione – spiega il vescovo – di questa intima unione tra Dio e gli uomini che credono in lui, e, di conseguenza, sperano e agiscono alla luce di questa verità». La vicenda delle due patrizie romane del III secolo, diventa allora un’occasione per la comunità diocesana e, in particolare, per i giovani volontari di essere missionari nel mondo e nei luoghi della loro quotidianità. «L’invio di questi nostri fratelli e sorelle in regioni diverse – dice il vescovo nel rito –, secondo le concrete necessità delle Chiese particolari, rende più forte fra di noi il vincolo di comunione fraterna che già vive e opera mediante la preghiera».

Avvolta nel ricordo e nello spirito della sante, l’assemblea continua la preghiera. Poi alla fine della celebrazione il parroco padre Aurelio D’Intino invita a scendere nella cripta dove sono custodite le reliquie delle martiri. Qui, sull’altare, sostenute da Rufina e Seconda, sono disposte le magliette dei missionari, segni di appartenenza e unità. «GodPro» c’è scritto, un invito a “riprendere” la propria scelta per «andare a missionare» come invita a fare papa Francesco. Il vescovo con i sacerdoti presenti onora le reliquie con l’incenso che si spande anche su questi indumenti. E la suggestione si diffonde. Il mosaico con le sorelle sante, la gente riunita in uno spazio così intimo e sacro. L’orgoglio dei parrocchiani che hanno confidenza con questo centro simbolico della diocesi e gli occhi di tutti che cedono alla forza spirituale delle martiri, presenti nell’altare. Le due sorelle consegnano un’eredità ricevuta gratuitamente, quella del più antico amore cristiano. E le persone attorno a loro, con i giovani che partiranno, ricevono questo patrimonio per continuare ad accrescerlo.

Simone Ciampanella

(13/07/2017)

Foto Federica Rizzardi