Nel nome dei Santi

Se n’è andato così, in punta di piedi, la mattina presto del giorno in cui la Chiesa ricorda Caterina da Siena, la Santa infiammata d’amore per il sangue di Cristo come per l’unità del suo corpo mistico. Le letture della Messa proponevano l’immagine delle giovani sagge che attendono lo sposo con una buona riserva d’olio, segno della fede perseverante con cui tutti attendiamo il ritorno dell’amato. “Ecco lo sposo, andategli incontro!”. Don Diego ha risposto subito ed è andato, il passo svelto e sicuro dei suoi novant’anni, impaziente di vedere lo splendido volto del Risorto, colui al quale aveva donato tutta la vita. “Non sarò mai abbastanza riconoscente al Signore di avermi chiamato e di avermi mandato” – scriveva nel suo testamento spirituale, parole toccanti che ci consegnano l’animo limpido di un vero pastore, paziente, semplice e buono, un pò come tutti noi si dovrebbe essere. Ha ricordato Mons. Reali: “Incontrare don Diego ci dava serenità per la sua dolcezza e per la sua capacità di ascolto”.

Si sono svolte martedì 2 maggio, nella Chiesa Cattedrale a La Storta, gremita di fedeli, religiose e sacerdoti - circa cento - più sei i Vescovi a concelebrare (Lino Fumagalli di Viterbo, Ambrogio Spreafico di Frosinone, Vincenzo Apicella di Velletri, Luca Brandolini emerito di Sora e presidente del Capitolo Lateranense, Giuseppe Guerrini emerito di Saluzzo); tra le Autorità: Roberto Cini, assessore all’Ambiente di Fiumicino in rappresentanza del sindaco Montino, il comandante della Guardia Costiera di Roma Fabrizio Ratto Vaquer. 

L’amore per Cristo e la Chiesa in Santa Caterina erano un tutt’uno. Ma non era lo stesso anche per Don Diego? Egli confessa: “ho sempre cercato di amare la Chiesa, questa Chiesa pellegrinante, di tutti, popolo di Dio, che vive nella parrocchia, nei gruppi e nei movimenti, nella Diocesi soprattutto, facendone il solo interesse della mia vita”. "Ho sempre cercato di seguire Cristo più da vicino, nella sua donazione totale e nella caratteristica di servo”. Mons. Bona si presentava “come colui che serve”. Non erano solo belle parole sull’immaginetta a ricordo dell’arrivo in Diocesi. Per lui erano un vero programma di vita.

Messe da parte le insegne, Don Diego si presentava con semplicità, come uno di noi. Un fratello maggiore, certo. Tutti sapevamo che era “il Vescovo”. Ma aveva una capacità tutta sua di abbassarsi al livello del più piccolo, del più semplice. Ed era dallo scalino più in basso che il Vescovo guidava la sua Diocesi. Una Chiesa che proprio in quegli anni conosceva una crescita numerica impressionante .. da qui l’invito: “andate anche voi a lavorare nella mia vigna”. Sono arrivati seminaristi e sacerdoti da ogni parte. Li abbiamo accolti come fratelli. Nella Chiesa di Don Diego c’era posto per tutti, purché si avesse voglia (non tanto capacità, ma voglia, quella sì) di lavorare. “Quanto mi ha voluto bene!” – diceva ieri uno dei tanti sacerdoti accolti. Ma chi di noi non poteva dire altrettanto? Tutti sapevamo di avere un posto nel cuore del nostro Vescovo. Ed era grazie all’affetto paterno del Vescovo che si andava avanti, magari fino a dare il meglio di sé (cosa che poi non tutti, purtroppo, hanno fatto, deludendo chi aveva dato loro massima fiducia). Era lui, per primo, a dare l'esempio di come si deve lavorare. Giorno e notte, correndo da un capo all’altro del vasto territorio, per occasioni importanti ma anche, e soprattutto, per le circostanze più semplici. Si presentava in Parrocchia prima della Messa feriale chiedendo: “posso concelebrare?” .. e da lì, dallo scalino più basso, coltivava un incessante dialogo, aveva una parola per tutti. 

Da Santa Caterina a Sant’Atanasio: il funerale di Mons. Bona avviene proprio nel giorno di questo grande dottore della Chiesa, maestro della fede, intrepido difensore della divinità del Verbo. Torniamo ancora al testamento spirituale: “Professo con tutta la mia debole intelligenza e volontà la fede della Chiesa e la comunione più piena al Santo Padre e ai fratelli Vescovi italiani”. Ecco la parola chiave: la comunione. La comunione della fede e della carità, la comunione ecclesiale, quella vera, fondata non sull’affetto, ma sul solido e comune sentire riguardo a Dio e al suo unigenito Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore. Don Diego è stato maestro della fede. Non aveva tentennamenti. Tutti ricordiamo come si trasformava nelle omelie, la voce vibrante che scuoteva l’uditorio. Arrivava magari stanchissimo all’altare, ma al momento del Vangelo e dell’omelia si trasformava per annunciare Gesù risorto, unica speranza per il mondo.

“Devo testimoniare della materna protezione di Maria cui mi sono affidato nei primi anni del seminario minore” – la sua figura non sarebbe completa senza il riferimento alla Vergine Santa. Con riserbo tutto piemontese, s’intende. Ma è un fatto che è stato lui a richiamare l’attenzione di tutti su Ceri, perla e cuore spirituale della nostra Chiesa, casa di Maria e nostra. Una testimonianza che ha ripetuto lo scorso 8 dicembre, nel 30mo anniversario della costituzione del Santuario mariano, quando, la voce ormai traballante ma il piglio sicuro, esortava: “affidatevi alla Madonna, perché lei non delude mai!”.

Noi ora abbiamo il dovere di raccogliere la straordinaria eredità che Don Diego ci lascia. Come chiede San Paolo, facciamo memoria dei nostri padri, di coloro che ci hanno annunciato il Vangelo, e consideriamo la conclusione della loro vita. Don Diego, dopo aver tanto faticato quando era tra noi, prima come nostro Vescovo e poi, dal 2003 fino alla fine, con una paternità ancora più profonda, ha terminato la sua corsa e ha conservato la fede, intatta e cristallina. Noi lo salutiamo e preghiamo perché possa ottenere dal Signore la più che meritata corona di gloria, certi che da lassù continuerà a volerci bene e a intercedere per noi che, insieme alla gente di Saluzzo, di Ostia e della Garbatella, siamo stati la sua famiglia.

Ha concluso Mons. Reali nell’omelia: “Esprimo il dolore della Chiesa di Porto-Santa Rufina per la morte del caro vescovo Diego, pastore amato da tutti, che lascia una traccia viva, segnata dalla capacità di ascoltare e di dare conforto ad ogni singola persona. Siamo stati contenti di averlo avuto fra noi, dopo la conclusione del suo ministero episcopale: la scelta di trascorre la sera della vita in questa nostra Chiesa ci ha detto del suo grande amore per la Chiesa Portuense. Con discrezione e disponibilità non ha fatto mancare la sua paterna vicinanza che si è manifesta nella regolare presenza ai più significativi momenti della vita della nostra Chiesa e alle principali celebrazioni diocesane, l’ultima delle quali proprio due settimane fa per la Messa Crismale. Vogliamo ringraziare il Signore per il dono di questo pastore, la sua bella testimonianza attraverso la quale ha saputo trasmettere una fede forte e luminosa e generosa. In questo tempo di Pasqua, in cui viviamo la speranza della Risurrezione che Gesù ci ha donato, preghiamo tutti insieme Dio perché accolga don Diego nella sua pace e lo ricompensi del suo lungo e instancabile servizio nella Chiesa”.

roberto leoni

 

CENNI BIOGRAFICI

Don Diego è nato a Castiglione Tinella, diocesi di Alba, l’11 dicembre 1926; è ordinato sacerdote l’8 ottobre 1950 nel duomo di Alba ed è successivamente nominato Vicario parrocchiale a Pollenzo e Cossano Belbo, nella sua diocesi di Alba; a metà degli anni cinquanta si trasferisce a Roma, insieme a suo fratello don Alfredo, rispondendo all’appello di Pio XII che aveva chiesto alle diocesi italiane, più fornite di clero, di inviare a Roma sacerdoti per il servizio pastorale nella città e nella Chiesa. Roma, dopo la guerra, aveva ripreso un grande sviluppo urbanistico e cresceva molto di popolazione.

La prima destinazione pastorale romana di don Diego fu il quartiere periferico di Pietralata, il famoso Tiburtino III: qui si misurò con una realtà religiosa e sociale totalmente diversa da quella delle Langhe piemontesi, e fece propria la scelta missionaria dell’annuncio del vangelo a tutti, attraverso l’incontro, la predicazione e la testimonianza. Il Cardinale Vicario, Clemente Micara, valorizzò la sua capacità di arrivare al cuore di tutte le persone e lo impegnò sul fronte della pastorale giovanile affidandogli anche la cura di Gioventù Studentesca.

Nel 1966 fu nominato parroco di Santa Maria Stella Maris ad Ostia Lido e nel 1974 parroco di San Francesco Saverio alla Garbatella. Vi rimase per 11 anni, fino al 1985, quando fu eletto vescovo di Porto-Santa Rufina. Il ricordo di don Diego è ancora vivissimo alla Garbatella, un quartiere popolare che aveva preso forma subito dopo la prima guerra mondiale e si sviluppò ulteriormente durante il Fascismo: lì il Duce volle andasse ad abitare la gente deportata dal centro storico dove il regime, intendendo celebrare se stesso nelle glorie dell’antica Roma, decise costruzioni e spazi imponenti come i Fori Imperiali e via della Conciliazione, che prese il posto della cosiddetta Spina di Borgo.

Don Diego fu nominato Vescovo di questa Diocesi Suburbicaria di Porto-Santa Rufina nel 1985 (precisamente il 9 novembre); ricevette l’ordinazione episcopale, per le mani del Cardinale Vicario Ugo Poletti nella basilica di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma, e il 12 gennaio 1986, nella festa del Battesimo di Gesù, fece il suo il suo ingresso in diocesi celebrando per la prima volta in questa Cattedrale.

Nell’omelia espresse due desideri: il primo “quello di annunciare il Vangelo ovunque, a tutti, piccoli e grandi, vicini e lontani, in ogni ambiente ed in ogni occasione”.; il secondo, “grande come il primo ma forse ancora più vicino al cuore, quello di essere operatore di comunione, di costruire comunità, di spendere ogni energia perché questa porzione del popolo di Dio si senta come una famiglia dove tutti possono esprimersi, dialogare, sentirsi a casa loro, realizzare la loro vocazione cristiana”.

Il 7 gennaio 1994, mons. Bona  fu traslato alla sede di Saluzzo dove è rimasto fino al 16 aprile 2003, quando il Papa accolse la sua rinuncia al governo di quella Chiesa. Dal 1994 al 2002 fu presidente di Pax Christi, raccogliendo l’eredità di Mons. Tonino Bello. Dal 2003 mons. Bona è stato canonico del Capitolo Lateranense. Fino a qualche mese addietro don Diego era presidente del Movimento FAC, il Fraterno Aiuto Cristiano, nato nel 1948 da una intuizione del salesiano don Paolo Arnaboldi, che propone di vedere e di amare concretamente Gesù nel fratello, facendo della Parrocchia una vera famiglia di Dio. Lasciato il governo della Chiesa di Saluzzo, mons. Bona è tornato a Roma, accolto nella sede del FAC, sulla Via Portuense.

Nella serata del 28 aprile scorso don Diego ha accusato un malore che ne ha consigliato l’immediato ricovero all’Ospedale San Carlo di Nancy, dove purtroppo è deceduto nelle prime ore del 29 aprile 2017, festa di Santa Caterina da Siena. 

foto F. Lentini